IL CINEMA COME DISPOSITIVO SOCIALE

Giusto un semplice film!

Sorry We Missed You è il nuovo atteso film di Ken Loach.  Il protagonista è Ricky, padre di famiglia sulla quarantina, provato dalla crisi del decennio scorso, è alle prese con la drammatica circostanza di non avere un lavoro e di vivere in affitto; la vita della sua famiglia è scandita dall’insufficienza di denaro e di tempo da dedicare ai figli e vacilla ogni possibilità di mantenere vivo il desiderio di educarli secondo la propria coerenza e i propri valori. Una famiglia di due figli, una coppia di sposi innamorati, devastati dall’insuccesso. Alla ricerca di una soluzione concreta, Ricky trova un nuovo lavoro come corriere per un’azienda (il riferimento alle multinazionali che conosciamo è esplicito); questa opportunità di lavoro non prevedere diritti che, non solo vacillano, ma sono totalmente ed esasperatamente assenti.

La pellicola ha come tema la disgregazione di una famiglia che – sebbene i problemi provochino ferite morali e spesso fisiche – continuerà ad amarsi, nonostante il clima di escalation di cui il padre di famiglia (come capita spesso) è vittima.

Il sogno è bandito come è bandita la possibilità di dedicare tempo a sé e agli affetti. Il tempo libero è perso per sempre, l’andamento è lacerante, tutto il film non presenta mai un appello al lieto fine. L’arrangiamento narrativo è violento, monoplanare, crudele. Nel film si sogna molto poco: non si stenta a credere che lo stesso spettatore si chieda il motivo per cui abbia scelto di accollarsi un simile spettacolo in cui – non a caso e ovviamente – non c’è una colonna sonora.

Una risposta sorge naturale: il film in questione non è solo un artefatto artistico, non evoca azioni o sentimenti, li mostra, li fa vedere; non è un film semplice né un semplice film né una mera diapositiva sociale ma è un dispositivo che muove il pensiero, scuote la coscienza, non giudica ma genera giudizi. Per questo è un film giusto (il verbo giudicare deriva dal latino iudico, formato da ius e da dico, ovvero “dico il giusto”), non c’è un racconto ma un pensiero disposto a farsi contenuto al di là della forma e del gusto.

L’assenza di musica è assordante. I suoni del film sono una miscela di traffico e sospiri in affanno su tutto. Come nelle associazioni culturali, come tra amici e nelle famiglie, il film inaugura una discussione, rompe il silenzio, apre il dibattito, si (dis)pone tra noi; si fa interprete di un contenuto che costringe a nutrire il dialogo, modificando le nostre credenze a volte esclusivamente locali per derivare nuovi pensieri e altri ancora (si auspica) e allora quell’ingiustizia di cui il film si fa portavoce diviene giusta, significativa: UTILE.

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STOOOP!!! RICALCOLA!

Un soldo risparmiato è un soldo guadagnato.

 

è solo una percezione o si sta sacrificando tutto senza saperne la ragione? Come è possibile giustificare qualsiasi scelta che non considera il sistema nel suo complesso?

Non si vuole fermare il comparto dell’edilizia perché è una voce che pesa nel bilancio nazionale, senza considerare che 1- il consumo di suolo è un problema reale; 2- esistono edifici da riqualificare, basta guardarsi in giro; 3- urbanizzare un territorio ha delle spese di gestione oltre che di realizzazione. Cambiando comparto, l’industria sviluppa continuamente prodotti dall’utilità dubbia, con tempi di vita sempre più corti e numeri sempre più alti, e che poi rimangono invenduti o entrano nelle case quasi a forza. Esempi ce ne sarebbero infiniti, basterebbe pensare un po’ alla propria quotidianità e alle reali esigenze.

Purtroppo sembra nulla abbia più un valore, nulla! Si ha troppo! Non c’è da inorridirsi pensando che le vendite siano legate a gadget che entrano direttamente nei bidoni della spazzatura? O vedendo che una pellicola di plastica avvolge qualsiasi cosa per darle un tono? Senza considerare poi le cose serie! Se si pensa alle catene di grande distribuzione si può vedere come gli sconti hanno la forza di spazzare via un’economia sana che contribuisce alla ricchezza reale di un Paese in termini di servizio e di qualità.

Il discorso si potrebbe ampliare, osservare meglio e comprendere davvero. Ci si dovrebbe mettere in una posizione di critica su ogni scelta che si compie. L’epoca della complessità in cui si vive porta con sé la difficoltà di capire realmente le conseguenze delle cose. L’etica però esiste e la si può abbracciare, basta cercarla! Quindi fermi tutti e tutto, è tempo di ritrovare la strada giusta!

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INSIEME SI È DI PIÙ

Il modello organizzativo a cui oggi si mira è il NOI. Collaborazione, condivisione, cooperazione rappresentano sempre di più il minimo comune denominatore dei progetti vincenti. Questo perché guardando insieme con la stessa forza, audacia, abnegazione, intensità ad un obiettivo comune, si ha come risultato una moltiplicazione della crescita. Si crea, così, qualcosa di diverso da una somma matematica e anche le diversità (disparità e/o disequilibrio) diventano fattori che all’interno di un’equazione di bilanciamento si comportano diversamente da quello che ci si potrebbe aspettare.

Già Pitagora nel V secolo a.C. ipotizzava l’esisteva di un equilibrio interno ad ogni ecosistema, evidenziando che le relazioni tra le parti sono di tipo matematico per il raggiungimento di “una giusta proporzione”. Quello che oggi si indica col termine algoritmo che governa gli insiemi e che può risultare poco visibile ad una prima lettura ma che esiste. Sicuramente ci sono fattori che non sono visibili a tutti, ma che in un discorso d’insieme diventano parti fondamentali. L’insieme non è la totalità delle singole parti, diventa qualcosa di superiore alla loro somma.

Si è a fine anno ed è tempo di bilanci. In più, per Almo questo è il decimo anno e forse il primo con una organizzazione strutturata. I numeri mostrano la crescita…tutti i numeri anche se forse ce ne sono tanti da mettere sotto la lente. Sicuramente l’immateriale che lega tutti i componenti di Almo è tanto ed è difficile da vedere, ma voi cosa ne pensate?

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CHI CERCA TROVA

In antichità le cose erano percepite in base alla loro bontà, considerando il loro valore come grado stesso dell’essere e componente unico della sua stessa natura: la realtà e il valore coincidevano.

Oggi il valore delle cose è una qualità difficile da considerare: è una componente intrinseca data dal materiale e dal processo di realizzazione, ma può diventare anche una questione di percezione entrando in ambiti diversi, da quelli affettivi a quelli sociali o che entrano in una logica di mercato. Non c’è una corrispondenza univoca, ognuno attribuisce il proprio valore, i valori sono molteplici e la loro contraddizione non esclude la loro validità: valgono in rapporto ai propri fini e nella misura in cui ci sono utili.

Ormai si possiede tutto, o almeno tutto quello che è possibile acquistare o quasi, ma si è sempre alla ricerca di qualcosa che non si ha. A volte si cerca quello che si è perso nel tentativo di recuperare anche qualcosa di sé. Si innesca così una caccia al tesoro che spesso non si sa con chi condividere. La cosa bella però è che ognuno troverà il proprio tesoro, basta cercare!

Noi vi proponiamo di partire insieme a noi per Arezzo, dove ci sono tre diversi mercatini da scandagliare: antiquariato, artigianato e natalizio, ma anche uno splendido centro storico dove ci sono tesori artistici in un tesoro di città.

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LEGGERE O NON LEGGERE, QUESTO È IL PROBLEMA

Leggere libri rende più intelligenti non lo sapevate? Lo si dice ai bambini, ma bisognerebbe ricordarselo sempre, anche da grandi perché aumenta l’empatia e la qualità del sonno, ci sono studi scientifici a sostegno. Dalle le pagine di un romanzo arrivano voci lontane che raccontano una storia e ogni volta si entra in una realtà che in un continuo dialogo con chi legge ne stimola la mente.

Addentrarsi in un romanzo, nella vita dei suoi protagonisti, consente al lettore di essere partecipe delle loro emozioni, tanto che a volte si può diventare un medico assieme a un medico incontrato nel mondo di carta, ad esempio. Si impara e si viaggia assumendo punti di vista diversi, attingendo dall’esperienza dei protagonisti, si riusce a comprendere meglio le persone in carne e ossa. Inoltre, si migliora l’elasticità mentale appropriandosi delle esperienze altrui che diventano nostre, stimolando la reattività e i processi di interiorizzazione. Questo perché leggere di sentimenti e stati d’animo, consente di chiare i concetti attraversando le parole, che su carta diventano punti da unire. 

Un bel libro è una porta sull’infinito, su uno spazio e un tempo che si generano di volta in volta, per una pausa dalla quotidianità e un’avventura da vivere quando a proprio piacere. 

Quando poi è anche buono, prima di appoggiarlo e spegnere la luce, si cancellano le ansie e si evitano sonniferi o la conta delle pecorelle.

La magia di un romanzo è proprio questa: continuare a raccontare una storia che prende voce ogni volta, per non cancellare nulla e ricordare le cose importanti, perché tutto insegna come le parole autobiografiche di Carlo Levi nel libro che stiamo leggendo il lunedì sera, consentendo di riflettere come uomo e come cittadino. 

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…È UNA BELLEZZA!

È impossibile separare la bellezza dal piacere o dalla gratificazione perché tutto avviene a livello neuroscientifico nella corteccia mediale orbitofrontale. È un processo vero e proprio quello che riconosce la bellezza ed “accade” nella testa: un dibattito di giudizio che si apre ad ogni stimolo nella zona della corteccia celebrale che la rileva e la compara ai parametri a disposizione che si sono accumulati, per trovare poi gratificazione o meno. 

Non esiste una definizione di bellezza, è una percezione, anche se i parametri potrebbero essere definiti al negativo. Prendiamo come esempio gli occhi: in posizione diversa da quella dove solitamente sono collocati, non verrebbero definiti belli. Esistono quindi dei minimi termini che devono essere soddisfatti anche se tutto rimane di carattere personale e qualcosa di astratto. Diventa però qualcosa di quantificabile quando si considera la soddisfazione della mente: di fronte alla bellezza aumenta l’attività delle aree visive e quanto più forte è l’esperienza estetica, tanto più si attiverà quell’area. 

È vero anche che il senso estetico si sviluppa con la competenza e la virtù, ed è per questo che ci piace proporre corsi di storia dell’arte, ma anche addomesticare la vista alle sperimentazioni dell’arte moderna: vorremo darvi tutti gli strumenti per godere appieno ogni qual volta vi troviate di fronte all’Arte. Ciascuno trova bello quello che ama, noi amiamo studiare Arte insieme a voi.

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C’È QUALCOSA DA RUBARE?

Niente è più prezioso di una nuova generazione: è una speranza, è un capitale su cui investire, è e sarà il mondo che verrà. Oggi si affaccia al mondo la generazione Z (figli della generazione X e nati negli anni 1990-2010). Siamo già arrivati alla fine? Andiamo con ordine: abbiamo visto i Millennials (1980-2000), la generazione X (1965 ed il 1980) e prima ancora i Baby boomers (1945 ed il 1965). Dopo la zeta cosa ci sarà?

Ognuno è frutto di un contesto: famiglia, scuola, lavoro, anche se a ben guardare il modulo generatore è la famiglia… la modalità di gestire i sentimenti e gli affetti. Siamo cresciuti sotto gli occhi della comunità, dai primi passi si prosegue col cammino continuo della vita e allo stesso modo si è partecipi della vita degli altri. 

Tra i miei primi ricordi ci sono i gradini di una scala che ora non c’è più, proprio a lato di Almo, che raggiungeva la casa di un mio amico. Forse avrò avuto 3 anni o 4 ma non di più, il ginocchio raggiungeva la pedata. I 40 metri che la dividevano dal forno dei miei genitori ero libero di farli da solo… da solo?!??!! Sì, perché ero sotto gli occhi di tutta la “famiglia” che era costituita dal paese intero. I ricordi forse si mescolano alla fantasia, ma ricordo ancora la fatica di alzare il piede così in alto facendo tutto da solo, e la soddisfazione del raggiungere il gradino, un gradino per volta.

Un discorso da bacchettone? Forse sì, sicuramente da nostalgico che ama il passato e a cui non piace legarsi a tutti quei luoghi comuni che identificano i più giovani.

Spero che la “zeta” non chiuda solo l’alfabeto, ma segni l’inizio di qualcosa di nuovo nei confronti delle generazioni che si affacciano al mondo.

Partecipare alle loro conquiste, mettersi in ascolto delle loro espansioni o ritrazioni, lasciarli liberi di costruire la loro autonomia dando loro esempio e fiducia… gli adulti hanno ancora molto da imparare e costruire!

La generazione più giovane è la freccia, la più vecchia è l’arco.

(John Steinbeck)

 

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TI MANGEREI DI BACI

“Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, io trasalii, attratto da qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me.” MARCEL PROUST

C’è sicuramente qualcosa di ancestrale alla base dell’interesse ancora crescente per il cibo. Secondo la teoria della piramide dei bisogni espressa da Maslow, che dal 1954 ad oggi è alla base di ogni teoria motivazionale dell’uomo, l’alimentazione rientra nei bisogni fisiologici, ovvero in quei bisogni legati alla sopravvivenza umana, proprio come il bisogno di respirare, la necessità di bere, di dormire e la necessità di riprodursi.

Ieri la buona cucina si cercava in casa, nella propria, invece oggi si cerca un buon ristorante, ma stiamo tornando un po’ indietro? Anche se il turismo gastronomico è una realtà consolidata e cercare un buon ristorante è parte della quotidianità, può far pensare che nelle classifiche dei libri più letti, al primo posto si è spesso trovato un libro di ricette e che ormai non c’è un canale televisivo che non abbia un programma culinario dove poter imparare qualche buon manicaretto.

Si potrebbe ridurre tutto, come lo si farebbe con una buona salsa, ai recenti studi che sostengono che chi sa cucinare bene sa far bene anche l’amore. Senza generalizzare troppo, perché non va mai bene e perché esiste sempre l’eccezione che conferma la regola, ma mangiare e fare l’amore sono tra i piaceri in cui non si deve lasciare nulla al caso, per cui noi possiamo offrirvi dei corsi di cucina… per fare l’amore ci stiamo lavorando. ; )

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OGNI MONDO é PAESE

Sempre più globali e sempre più collegati. Oggi, ormai, per andare da una città all’altra si potrebbe impiegare lo stesso tempo che serve per unire due punti opposti di una città, e forse sarebbe anche lo stesso necessario per coprire la distanza tra due capitali del nostro continente.

Sembra che non esistano più barriere o limiti fisici per i cittadini del mondo: il fine settimana fuori porta è diventato ormai fuori controllo per cui anche una capitale europea è dietro l’angolo e alla portata di tutti o per cimentarsi nella scalata al K2 bisogna munirsi di numerino e mettersi in coda.

Di contro, il mondo sta diventando un unico frattale: ingrandendo una qualunque sua parte si ottiene una figura simile all’originale. In realtà lo è sempre stato, ma oggi le geometrie risultano sempre più uguali anche senza ingrandire troppo il dettaglio. Il paesello, come la città, sono lo specchio del mondo intero!

Poco male, si potrebbe finalmente scoprire che il delta del Po’ sia alla stregua dei Parchi fluviali del Vietnam e che il Parco dei Sassi di Roccamalatina abbia una biodiversità tale da concentrare in un fazzoletto di terra quello che è racchiuso in una regione intera. I dialetti, però, non risultano più le uniche lingue che differenziano un paesino dall’altro, ma da un quartiere all’altro non è più sufficiente utilizzare lo stesso alfabeto, si rende necessario anche cambiare i fonemi. E dato che l’uomo è un animale sociale e come come tale ha bisogno di comunicare col prossimo per riuscire a stabilire una socialità. Potrebbe servire imparare il cinese per fare la spesa, imparare lo spagnolo con le telenovelas e l’inglese per parlare col proprio capo con base a Londra….

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NESSUNO è PERFETTO

“Oh! Come è necessaria l’imperfezione per essere perfetti!”
GIOVANNI PASCOLI

Esiste un ideale verso cui tendere per raggiungere la perfezione? Di ogni qualità esisteva una divinità che ne incarnava il massimo livello e ne rappresentava un esempio, ma la perfezione è una condizione o un stato nel quale tutto risulta essere completo e ineccepibile sotto ogni aspetto. Rimane perciò solo un concetto astratto, perché la perfezione applicata alla realtà non esiste, un’utopia e qualcosa di irreale perché è una sensazione e una dimensione puramente soggettiva.

Si può pensare di trascendere tutto questo? Facile, basta farlo semplicemente sembrare tale! In realtà lo è davvero: dipende quali sono i riferimenti da cui partire. I limiti esistono e sono imprescindibili; a volte rappresentano difetti, altre diventano qualità… la solita prospettiva, ma si può pensare che all’interno di questi limiti vi sia un universo di totale libertà. 

Nel mondo del progetto, i limiti, qualsiasi essi siano, sono i primi elementi da prendere in considerazione, e solo dopo entra la fantasia, l’interpretazione e l’immaginazione. Un po’ come nel gioco, dove si prende visione delle regole, altrimenti come si fa a giocare?

Quindi, è giusto perseguire la perfezione? Il dubbio viene perché la perfezione prevede la presenza simultanea di ogni aspetto, anche quello dell’imperfezione.

È interessante notare come oggi l’imperfezione, l’anomalia o l’unicità sia diventato un linguaggio comune e a volte inserito in modo un po’ forzato. Il concetto che tutto ciò sottende potrebbe essere che vale tutto e che tutto sia corretto, un risultato derivante da un processo naturale, come concepito nel wabi-sabi che insegna ad esercitare il distacco dall’idea di perfezione assoluta, per riscoprire la bellezza di una creazione intuitiva e spontanea, forse incompleta ma sicuramente ricca di originalità.

 

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