“Oh! Come è necessaria l’imperfezione per essere perfetti!”
GIOVANNI PASCOLI
Esiste un ideale verso cui tendere per raggiungere la perfezione? Di ogni qualità esisteva una divinità che ne incarnava il massimo livello e ne rappresentava un esempio, ma la perfezione è una condizione o un stato nel quale tutto risulta essere completo e ineccepibile sotto ogni aspetto. Rimane perciò solo un concetto astratto, perché la perfezione applicata alla realtà non esiste, un’utopia e qualcosa di irreale perché è una sensazione e una dimensione puramente soggettiva.
Si può pensare di trascendere tutto questo? Facile, basta farlo semplicemente sembrare tale! In realtà lo è davvero: dipende quali sono i riferimenti da cui partire. I limiti esistono e sono imprescindibili; a volte rappresentano difetti, altre diventano qualità… la solita prospettiva, ma si può pensare che all’interno di questi limiti vi sia un universo di totale libertà.
Nel mondo del progetto, i limiti, qualsiasi essi siano, sono i primi elementi da prendere in considerazione, e solo dopo entra la fantasia, l’interpretazione e l’immaginazione. Un po’ come nel gioco, dove si prende visione delle regole, altrimenti come si fa a giocare?
Quindi, è giusto perseguire la perfezione? Il dubbio viene perché la perfezione prevede la presenza simultanea di ogni aspetto, anche quello dell’imperfezione.
È interessante notare come oggi l’imperfezione, l’anomalia o l’unicità sia diventato un linguaggio comune e a volte inserito in modo un po’ forzato. Il concetto che tutto ciò sottende potrebbe essere che vale tutto e che tutto sia corretto, un risultato derivante da un processo naturale, come concepito nel wabi-sabi che insegna ad esercitare il distacco dall’idea di perfezione assoluta, per riscoprire la bellezza di una creazione intuitiva e spontanea, forse incompleta ma sicuramente ricca di originalità.