Esiste la felicità? E, soprattutto, che cos’è?
Tutto, oggi, sembra voler far intendere che per essere felici si debba vivere nel progresso, possedere qualsiasi cosa e dell’ultimo modello, e che il tenore di vita sia il metro con cui misurarla.
Sulla felicità esistono 1) un Rapporto mondiale che ne misura il livello in 156 Paesi, 2) un paradosso che ne delinea la struttura e il legame all’universo economico/finanziario, 3) una giornata mondiale il 20 marzo.
Ma ultimi studi e sondaggi rilevano che a livello globale la felicità scende e salgono preoccupazione, tristezza e rabbia… che rabbia! Dobbiamo però essere felici che l’Italia sale di 11 posizioni 😉
Si potrebbe forse anche dire che la felicità stia diventando una nuova scienza interdisciplinare diversa dalla psicologia o dall’attuale scienza economica. Si stanno utilizzando nuovi metodi di indagine diretta ad un rilievo soggettivo da parte delle persone con dei questionari da cui ne derivano importanti manovre politiche globali.
Se però i più poveri non sono meno felici di quelli più ricchi, se nei Paesi economicamente meno sviluppati non ci sono mediamente meno felici di quelli economicamente più sviluppati, perché incaponirsi sul PIL o puntare sempre e solo sullo sviluppo economico?
Felicità e infelicità sono fenomeni dell’anima (U. Galimberti, I miti del nostro tempo, Feltrinelli, Milano, 2009) e per i Greci era il sommo bene. Il termine deriva, appunto, dal greco: “Eudaimonia”, usato per la prima volta da Erodoto per indicare una vita florida, e da Esiodo per indicare una vita felice e fortunata. è l’espressione di un concetto che nella società odierna, della complessità, diventa poco controllabile e di difficile adattabilità. La sua etimologia, invece, racchiude due parole: eu (bene) e daimon (demone), e per poter vivere felici devi realizzare te stesso, il tuo demone, ciò per cui sei nato, la tua natura. Realizzando il proprio demone si può raggiungere la felicità, però secondo misura, come aggiungevano subito dopo:” katà métron”, senza eccedere e senza limitarsi.
Ad una felicità edonistica assoggettata al consumo di beni che non può resistere a causa del naturale adattamento dell’uomo al suo contesto, se ne contrappone una che non ha legami con le soddisfazioni materiali, ma si sviluppa in un ambito emotivo, affettivo e civile. è quindi una questione di conoscenza di sé, del suo sviluppo e di relazioni reali e sincere.