SA(N)REMO D’ACCORDO: SANREMO E’ SEMPRE SANREMO

Dimmi perché ma perché ma perché negli occhi miei non guardi mai (Dino); che colpa ne ho se un cuore è uno zingaro e va (Nicola di Bari); una terra promessa un mondo diverso dove crescere i nostri pensieri (Eros R.); dalla mamma dai, questa sera lasciamo qua i problemi e quei discorsi sulle rughe e sull’età (L: Barbarossa); vattene amore che pace più non avrò: magari ti chiamerò trottolino amoroso, tutù dadà (Minghi e Mietta).

L’elenco non è semplicemente incompleto, non può coprire la storia di un evento musicale che non è meramente una kermesse. Su quel palco è in scena la grandezza e la miseria di un paese con i suoi eccessi e le sue contraddizioni, questo come tutti i prodotti audiovisivi di enorme successo.

L’elemento fondamentale non è ovviamente la creatività. Ciò che passa è ciò che funziona, come in tutte le performance che si rispettino. Il rumor sovraintende la musica, il refrain ruffiano ingaggia un pubblico vasto e il materiale da repertorio è relegato al premio della critica che chissà vota sempre la decadenza, il pensamento sociale, la protesta.

Sanremo è un plot, ha uno schema di narrazione preciso che si reitera ogni anno magistralmente: prima la liturgia, poi lo scanzonato, per passare all’Ama-deus che consola tutti con la sua bonarietà. Suicidi annunciati, liti meravigliose, siparietti telefonati, abiti mozzafiato, beneficenze acclamate, canzoni per tutti i gusti e per tutti.

Parlare bene di Sanremo sarebbe doveroso, parlarne male è facilissimo: tutti lo vedono, tutti ne scrivono e – nel vederlo – spiano nel paese come butta (si dice a Roma).  Ha una funzione sociale: nella gara i campioni si metto in gioco con le loro canzoni e le proprie imperfezioni live, l’occhio del grande fratello non perde un pezzo e il giorno dopo c’è materiale per parlare, per fare pettegolezzo (ora si parla di gossip), le famiglie si fanno due risate, le coppiette preparano i pop corn, gli snob fanno suonare i Radiohead e tra qualche settimana ci metteremo in pericolo con parole più tranquille.

Di certo è la kermesse meno alternativa e la più popolare. Senza Sanremo non potremmo conoscere l’alternativa e senza Sanremo non potremmo sapere l’estratto di una selezione nazionale-popolare che più preme inscenare. Una selezione, un corpo di linee-guida che svelano anche i bordi dove è possibile – se si vuole – posizionarsi per arricchire la propria identità.

Sa(n)remo d’accordo: la kermesse è un ottimo omogeneizzato, in nomination va chi sfida il confessionale del gusto unico e vince chi perde su tutti in originalità:

I latini dicevano che In medio stat virtus e che sarà mai se per una settimana si sceglie di essere un paese di virtuosi mediocri, dei falchi a metà: un paese indifferente che sorvola già ah ah, tutte le accuse, boschi e città…

Nitzsche che dice: Boh

Nitzsche che Nitzsche: Boh Boh

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